TEMPORALE (2005)

Escursioni musicali, aprile 2006

Nella realizzazione di "Temporale" risultano coinvolti ben undici artisti: basti tale dato a far capire come Alhambra sia eminentemente un'attitudine prima ancora che un'entità musicale. Più che da un gruppo aperto, questo disco sembra dunque partorito da una vera e propria comune socioculturale, magari una di quelle che si svilupparono in Germania negli anni '70. Il riferimento non è casuale, giacché Andrea Monetti è qui riuscito a coinvolgere quel Chris Karrer che, con i suoi Amon Düül II, ha marchiato a fuoco il peculiare sound di un certo periodo. Rispetto al precedente "Luna Nova" si riscontra un maggior approfondimento delle tematiche psichedeliche, mentre gli accenti progressivi rimangono un po' in secondo piano. Prova ne sia che le tastiere fanno capolino solo in rare occasioni, e il loro ruolo è quello del sottofondo ("Immobile tra gli alberi", "Swan") o, per contro, quello della pura avanguardia ("DS Pallas", "Yeti meets mushroom"). La ricetta compositiva è dunque abbastanza costante: su una tenue base ritmica vanno a porsi delicate stratificazioni chitarristiche; ciò funge da ideale substrato per i preziosi ricami flautistici di Monetti e per gli obliqui cantati della new entry Marina Girardi, vocalist dal timbro interessante e dalle buone capacità interpretative. Ma Alhambra non ama l'ovvio, e per esprimere ciò che ha dentro non si fa problemi a usare lo scacciapensieri ("Dicembre") o il didjeridoo ("Venere in pesci"), eppure il tutto suona fresco e gradevole, mai forzato. Merita un'attenzione particolare la già citata "Yeti meets mushroom" che, coi suoi 12 minuti, è nettamente la traccia più dilatata del lotto: vi si respira al meglio quell'atmosfera da jam improvvisativa tanto cara alla band e, oltre alle lunghe note del synth di Monetti, risaltano anche la chitarra e il sax di Chris Karrer. Ne vien fuori un qualcosa di parecchio sperimentale che flirta pure col Canterbury oltranzista. Calmi e sereni, eppure articolati e pieni di vita, gli Alhambra non possono non piacere a chi ha amato, e ama tuttora, un certo tipo di messaggio. Musicale, ma non solo...
(Francesco Fabbri)

TEMPORALE (2005)

Movimenti Prog, giugno 2006

Fricchettoni di tutto il mondo unitevi! No, tranquilli nessuna Internazionale del Dharma, è solo il primo battito di un tam tam per ascoltare insieme il nuovo album degli Alhambra, tornato dopo qualche anno di silenzio con un disco gustoso, intenso, tra l'altro scaricabile gratuitamente dal loro sito, cosa chiedere di più? Gli Alhambra di "Temporale" mettono da parte le asperità per confezionare un disco soffice, pacato, psichedelia morbida, prossima al kraut più gentile di Amon Duul II e Ashra. A proposito di Amon Duul, tanto per far capire quali sono i santini sul comodino del gruppo, appare come super-ospite l'ottimo Chris Karrer (chitarra e sax): è proprio il caso di dire "Yeti meets Mushroom", e il pezzo finale è una jam sghemba, il tessuto rock è disgregato, è una pulsante "macchia sonora". Tale chiusura è solo l'epilogo di un disco che stupisce per la serenità, lo scorrere soave e leggiadro, con riferimenti anche alla scena di Canterbury (penso ai Caravan). La voce della Girardi - nuova entrata nella band, che porta il progetto verso una inclinazione più comunicativa - non è che un lato del caleidoscopico pentagono bolognese, e il flauto svolazzante di Andrea Monetti (che ricordiamo nella Maschera di Cera) è un filo rosso che attraversa ogni pezzo. "Dicembre", "Mille lune" e "Venere in Pesci" sono ricchi di sfumature, ombre, delicatezze, una sorta di psycho-folk jazzato, appena increspato d'elettricità, suonato con la moderazione e l'indolenza malinconica che sono vera cifra stilistica della band. C'è qualcosa dei primi Delirium e degli Aktuala, dei Jethro Tull più sfilacciati; "Immobile tra gli alberi" e "Il mio silenzio" sono estatici pastelli autunnali, "DS Pallas" un estemporaneo mantra di fiati e synth che contrasta con i toni dimessi e intimisti di "Swan". "Trapezismi rock e distillati psichedelici": una formula simpatica, come la proteiforme miscela lisergica degli Alhambra.
(Donato Zoppo)

LUNA NOVA (2002)

Rockerilla, febbraio 2003

Oggi, troppi dischi sembrano fabbricati in catena di montaggio, e noi, “forzati dell’ascolto”, dopo un paio di minuti già scommettiamo sul filone di appartenenza: difficile sbagliare con esiti tanto prevedibili. Poi capita di imbattersi ad esempio nei bolognesi Alhambra, che si definiscono “collettivo musicale” aperto a varie contaminazioni, e di respirare tutt’altra aria…Il loro primo album “Luna Nova” è un’esperienza elettro-acustica totalizzante, che rammenta la genesi di lontane esperienze teutonichea nome Emtidi, Holderlin, Lang’Syne e di eccentriche fragranze esotiche del regno inglese, Jade Warrior, Third Ear Band. Per esprimersi al di fuori di qualsiasi coercizione discografica, hanno creato la loro label, Fly Agaric!, stringendo rapporti con mitici veterani del krautrock, Chris Karrer degli Amon Duul II e Christian Burchard degli Embryo. Anche il suono degli Alhambra riflette l’anelito di ricerca delle avanguardie tedesche d’inizio Seventies, ma senza spingersi verso l’elettronica. Si tratta comunque di musica sperimentale, uno splash di colori psiche-progressive-folk dalle atmosfere verginali, dove il disegno compositivo ed il gusto dell’improvvisazione convivono in una formula equilibrata. ”Nazaré” conquista subito con un raffinato arpeggio acustico a cui si aggiungono il flauto ed il pianoforte; anche le parti vocali, cantate in italiano, sono perfettamente calate nel contesto, e spesso il gruppo libera la sua vena espressiva in pregevoli sessioni strumentali. Organo Hammond e chitarra elettrica caratterizzano i fraseggi di “Primavera”, e la voglia di avventurarsi in magie musicali dai profumi d’Oriente emerge nei suoni misticheggianti ed esoterici di “Dei avversi” e dell’intraducibile brano finale. Non serve aggiungere altro, innegabilmente “Luna Nova” è un bellissimo disco.
(Beppe Riva)

LUNA NOVA (2002)

Mucchio selvaggio, marzo 2003

Ad aprire bene gli occhi e le orecchie, non sono poi così pochi gli anfratti sonori che sanno distinguersi dai trend e procedere in buona autonomia con atipico carburante stilistico ed ispirativo. Stavolta capita di cogliere segnali di vita in quel di Bologna, puntando l’attenzione sulla piccola (ma definita negli intenti) label Fly Agaric!, dedita a fragranze psichedeliche, acide jam session e ambientazioni progressive dai rimandi al sacro fuoco Seventies: non è certo casuale la collaborazione intrapresa con lo storico gruppo tedesco kraut-freak-rock degli Embryo, di cui è prevista una prossima uscita discografica proprio su Fly Agaric!.Alhambra è invece uno dei frutti più prelibati e rappresentativi di tale scuderia, fine tessitura soprattutto acustica (non molte le impennate elettriche), capace di riverberi delicati e soffusi per i quali hanno buon gioco il flauto di Andrea Monetti (anche con La Maschera di Cera e altri progetti), piano e hammond di Goffredo Fioravanti in estatica sintonia con la chitarra acustica e le percussioni di Nick Le Rose. Quest’ultimo apporta anche poche immaginifiche parole per un cantato discreto in italiano (why not?) che non turba l’equilibrio strumentale, peraltro prevalente e in cui è più vivida la magia di un suono che potremmo definire apprezzabilmente “out of time”. “Ulisse nella nebbia” ne è esempio inebriante (del resto in buona compagnia), allorquando la forma si disperde nell’aria assieme a quel crogiolo di sensazioni retrospettive in fondo tutt’altro che spiacevoli.
(Loris Furlan)

LUNA NOVA (2002)

Psycho, aprile 2003

ESOTERISMO PROGRESSIVO INDIANO. MUSICA CHE SI ELEVA! Dodici anni fa Bologna svelò il talento bizzarro e complesso dei Deus Ex Machina. Oggi è la volta degli Alhambra, collettivo musicale (come amano definirsi), direttamente ispirato ad entità mistico-progressive di inizio anni '70. Mi vengono in mente Titus Groan, Velvet Fogg e Third Ear band, con uno spiegamento di flauti, organi soffusi, percussioni ipnotiche e tratteggi elettrici, con canzoni dalla struttura vaporosa e indiana. "Luna Nova" è un disco bello, coraggioso, fuori dagli schemi odierni, che profuma di libertà espressiva, ricco di fumo psichedelico e fascino esoterico.E anche il cantato in italiano assume una dimensione naturale e costruttiva, in un contesto ipnotico e aggraziato come conferma l'ascetica "Dèi avversi". L'organo ruggente che apre "Cronotopo di Bachtin", contrastato dal flauto mistico, è uno dei passaggi rock più belli che io abbia ascoltato negli ultimi mesi. Ma anche l'iniziale "Nazarè" o il fragore armonico di "Primavera" sanno regalare emozioni forti. Tra i ringraziamenti troviamo Christian Burchard degli Embryo e Chris Karrer degli Amon Duul II, in qualche modo vicini agli Alhambra. E questo mi sembra il viatico migliore per introdurvi alla magia estroversa e misteriosa di questo album intrigante e fuori dagli schemi. Siamo davanti a un grande album. Troverà un pubblico intelligente come merita?
(Gianni Della Cioppa)

LUNA NOVA (2002)

Musikbox, aprile 2003

Nelle note di introduzione si definiscono collettivo musicale con sede a Bologna aperto a contaminazioni etniche, popolari e psichedeliche. Gli Alhambra possono vantare collaborazioni prestigiose con elementi di spicco del kraut-rock (Christian Burchard degli Embryo e Chris Karrer proveniente dagli Amon Duul II) oltre all’amicizia con i genovesi La Maschera di Cera e Finisterre. Luna Nova segna dunque il debutto degli Alhambra e della loro etichetta Fly Agaric! Il disco, accompagnato da una simpatica illustrazione lisergica, presenta sonorità ricche di ammalianti atmosfere oniriche dove risaltano la chitarra acustica di Nick Le Rose e l’onnipresente flauto di Andrea Monetti impegnato abilmente anche ai sintetizzatori (Eddy takes a ride e Cronotopo di Bachtin).Se volessimo fare degli accostamenti, in alcuni frangenti sembrano ispirarsi al Battiato di Fetus e Pollution o al misticismo tipico di Claudio Rocchi e del primo Alan Sorrenti. Ascoltate al riguardo Primavera, perfettamente sorretta dall’elegantepiano di Goffredo Fioravanti. Meno convincenti le parti vocali ad opera dello stesso Nick Le Rose. Siamo sicuri che con opportuni accorgimenti nei pezzi cantati si potranno raggiungere risultati ancor più lusinghieri della prova in esame.
(Paolo Ansali)

LUNA NOVA (2002)

Taxidriver, Maggio 2003

Un disco di valore assoluto. Non si può che giudicare così il disco degli Alhambra, collettivo musicale che vanta collaborazioni di rilievo: Amanita, Amon duul II, Checkpoint Charlie, Finisterre e La Maschera di Cera. E’ musica senza tempo questa, con riferimenti al progressive degli anni ’70, quelli che si fondevano con la psichedelica, con il folk e certo kraut-rock. Sono la sperimentazione e la suggestività a farla da padroni all’interno del disco, senza dimenticare un discreto uso della melodia nella bella voce di Nick Le Rose. Assolutamente spaziale “Eddy takes a ride”, highlight del disco, con tanto di finale acido. Luna Nova sembra uno di quei dischi dimenticati dal tempo, scritti in qualche data imprecisa e ora ristampato facendo ritornare alla luce un capolavoro ormai cementato nel DNA di ciascuno di noi. Un disco senza tempo, perché è con i dischi come questi che il tempo perde tutto il suo valore. Imperdibile.

LUNA NOVA (2002)

Noizeitalia, maggio 2003

Bologna è da sempre fulcro di esperienze intriganti ed avventurose. Ecco allora sbucare dalle viscere della città emiliana un insieme di ragazzi che animati dalla voglia di sperimentare con la testa rivolta al passato glorioso degli anni ’60 e ’70 gettano le basi per progetti di un’intensità estrema….chiuso il capitolo “Ku” Monetti non sembra essere soddisfatto.. Eccolo allora tornare alla ribalta con i nuovi Alhambra. Tornano i vecchi compagni di viaggio (Nick Le Rose e Goffredo Fioravanti) e si aggiungono nuovi elementi, Gianluca Grazioli alla batteria, Andrea Zanotti al basso e Gianluca Pappalardo alla chitarra elettrica. L’assetto, i temi trattati nei testi e la copertina psichedelica sembrano presagire un ritorno al suono degli Arjuna: in parte è così, ma in questo caso le varie tracce si arricchiscono anche di suggestioni prese in prestito dal folk, dal Canterbury sound e dal rock sinfonico. Tutto viene miscelato alla perfezione ed è proprio in brani come “Nazaré”, “Eddy takes a ride” e “Dèi avversi” che si respira quel profumo così vintage da far girare la testa. L’approccio prevalentemente acustico richiama l’esperienza italiana di Delirium e Procession e proprio come la maggior parte delle band progressive tricolori dei ’70 è la voce stessa il punto debole del gruppo. Non si tratta di un demerito ma di un punto da migliorare, perché per il resto le strumentali “Pink caravan”, “Ulisse nella nebbia”, Cronotopo di Bachtin” e “Fengari” colgono nel segno, agitandosi tra vortici di hammond, flauti incandescenti, chitarre acide, ritmiche ora pacate ora travolgenti e soprattutto una dimensione psichedelica che fa riferimento a universi mistici e ipnotizzanti.Non siamo alle prese con del puro revisionismo musicale. Qui c’è tanta creatività e tanta voglia di sperimentare lontano dalle derive desolanti che la musica di oggi offre. Un cammino in solitaria, “tra nuovi sapori e suoni e colori e vaghi pensieri di oggi, di ieri…”.